L’ambasciata americana a Tunisi ha consigliato ai suoi cittadini di evitare un centro commerciale aperto di recente vicino alla capitale, a causa di un “possibile attacco terroristico” nella giornata di domenica.
In un altro comunicato diffuso il 17 dicembre, l’ambasciata aveva già raccomandato “maggiore vigilanza” durante le feste natalizie negli spazi pubblici come alberghi, centri commerciali, luoghi di interesse turistico e ristoranti.
Le autorità tunisine non hanno reagito ancora a questi avvertimenti da parte degli Stati Uniti.
Il Paese, descritto come un modello per la sua transizione democratica, affronta fin dalla sua rivoluzione nel 2011 i movimenti jihadisti che hanno ucciso decine di persone tra poliziotti, soldati e civili, tra cui turisti stranieri.
La Tunisia si sforza di apparire un paese evoluto e moderato, ma sono stati effettuati
“oltre 7 mila arresti” per terrorismo negli anni dopo la caduta del regime di Zine El Abidine Ben Ali, dal 2012 a oggi.
Basta un sospetto, portare dei vestiti che ricordano l’origine radicale musulmana, una barba troppo “estremista” e tramite la discussa legge 75 del 10 dicembre 2003, creata ai tempi della dittatura militare ed oggi sostituita dalla più restrittiva legge anti terrorismo del 27 luglio 2015 che serve a giustificare qualsiasi azione da parte delle forze di polizia, per far scattare un arresto in piena notte.
Purtroppo l’utilizzo della tortura come mezzo di estorsione di una plateale confessione di appartenere ad un gruppo terroristico è uso comune.
L’arresto molte volte sono eseguiti dagli ufficiali delle Bat che possono trattenere il “presunto reo” in stato di fermo per un massimo sei giorni (diventati 15 con la nuova legge, ndr), prima di poter comparire davanti a un giudice.
Durante quel tempo nel 99% dei casi il detenuto viene torturato per ottenere una confessione.
Una volta che il detenuto ha parlato, un giudice stabilisce una pena che va “dai 5 ai 12 anni per l’appartenenza a un movimento terroristico e fino a 5 anni si è fatto semplice attività di propaganda.
Se viene dimostrato che si è preso parte a un’azione in cui sono morte delle persone c’è la concreta possibilità della pena capitale.
Il governo, malgra utilizzi il pugno di ferro e la violenza più estrema per contenere il fenomeno del terrorismo non è riuscito ad impedire la formazione di zone quasi totalmente in mano ai terroristi legati ad Al Qaeda, ed ultimamente dello Stato al confine con la Libia.
La repressione ha generando sentimenti di vendetta.
In questo stato di stress e paura i gruppi jihadisti sono potuti crescere e prosperare.
Malgrado la durissima repressione dopo l’attentato del 18 marzo al Museo del Bardo la situazione è peggiorata: l’atteggiamento di Tunisi e delle forze di polizia si è radicalizzato “autorizzando” ogni possibile metodo di tortura, rendendo insostenibili le condizioni delle carceri, con celle sporchissime contenenti fino a 120 detenuti – ora si arresta con più facilità e lo si fa anche con bambini di 13 o 14 anni.