Asilo e il razzismo in Europa

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Tra il filo spinato costruito dall’Ungheria, la fuga attraverso il mare e la morte per annegamento, non passa giorno senza che accada un evento terrificante nel mondo.

La Francia continua a fare passi indietro sul piano dei diritti di cittadinanza, con le dimissioni del ministro della Giustizia in segno di protesta.

La Danimarca, dal suo canto, ha intenzione di confiscare i beni “preziosi” di cui sono in possesso i migranti, come contributo per il loro sostentamento.

La Svezia ha stabilito il rimpatrio di 80.000 rifugiati, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel è stata accusata di promuovere politiche irresponsabili, e il suo futuro alla guida della Germania è costellato da grandi interrogativi.

I populisti, da Marine Le Pen a Donald Trump, sono in ascesa. Schengen sta crollando.

Razzismo?

Naturalmente. E un razzismo del genere è alimentato da un gran numero di elementi, come la transizione mai completata dall’era industriale a quelle dopo, con il suo impatto sugli impieghi e sul mercato del lavoro, o la disgregazione delle precedenti forme di unione partitica e sindacale, nonché l’indebolimento delle classiche forme di integrazione nazionale a favore di legami identitari, quali la cultura e lo stile di vita.

Quest’ultimo è diventato, ancor prima del colore e della religione (spesso e volentieri accostati), una questione su cui concentrarsi da due diversi punti di vista: quello razzista e occidentale e quello del migrante, che cerca rifugio nella sua cultura, che risulta distorta nel confronto con la cultura dominante.

Attualmente, la cosa più pericolosa al mondo è, in tutta probabilità, il fatto che l’Europa, la culla della modernità, è crollata sotto il peso delle identità, e in particolare delle identità contrastanti, tornando a uno stadio che sembrava aver già superato da tempo.

L’estrema destra si rafforza, persino i laici sembrano riscoprirsi cristiani e, infine, l’Unione Europea riporta in auge il concetto di confine e promuove valori medioevali fondati sulla paura del vicino e la diffidenza per il diverso.

Fenomeni, questi, mortificanti, per una civiltà che voglia chiamarsi tale.

Di qui è nata, e continua a proporsi, la difficile convivenza tra uno stile di vita le cui colonne portanti sono libertà e individualismo, e un altro modello costituitosi sulla tirannia politica e culturale, che ha fatto sì che i rifugiati cadessero vittima di un paternalismo che reprime il libero pensiero e la libera iniziativa, e che di fatto proibisce di separarsi da concetti maschilisti mentre, se non ce ne si libera, non è possibile una rinascita della modernità.

E non c’è neppure bisogno di dire che, di generazione in generazione, a poco a poco, sono state a loro strappate le libertà di scelta e di decisione, cosa che li ha lasciati ostaggi dell’indigenza, della povertà e dell’ignoranza.

Tuttavia, le occasioni per circoscrivere il razzismo e limitarne l’efficacia non sono poche: prima tra queste il manifestarsi di differenze all’interno dei blocchi di rifugiati e migranti, con larghe maggioranze di innocenti che si discostano da atti offensivi di piccoli gruppi, e che partecipano attivamente alla vita politica degli Stati ospitanti e ne difendono i diritti e, in secondo luogo, la resistenza al razzismo attraverso i canali offerti dai regimi democratici.

Sarà necessario, nel processo verso questa liberazione dal razzismo, svincolarsi da tutti i residui di ideologie in voga, che mettono in relazione la miseria e la richiesta di vivere, lavorare e risiedere in Occidente con la presunta “superiorità” degli occidentali, o con la giustizia della lotta contro il colonialismo.

Hazem Saghieh è un giornalista libanese ed editorialista del giornale panarabo Al-Hayat.

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