La feroce violenza che insanguina i paesi arabi lascia immaginare cosa farebbero a Israele, se solo potessero
Il marchio distintivo delle guerre civili che da più di cinque anni imperversano nel mondo arabo è la loro sconfinata crudeltà.
Quartieri, villaggi o intere città “nemiche” vengono sistematicamente sottoposti a prolungati assedi che li privano di cibo, acqua, medicinali.
Il deliberato bombardamento di aree civili, ospedali, luoghi di culto e scuole è all’ordine del giorno.
L’uso di armi chimiche, sia da parte delle forze definite ribelli sia di quelle allineate col regime, è quasi di routine.
Se questo è il modo in cui i combattenti musulmani sono capaci di comportarsi fra di loro, è facile immaginare cosa farebbero agli israeliani se solo potessero metter loro addosso le mani.
In effetti, non è per improbabili sentimenti umanitari che tutte le parti coinvolte nelle guerre civili arabe evitano di colpire Israele (salvo caso sporadici).
Il fatto è che lo stato ebraico è riuscito a dotarsi di un esercito forte, moderno e motivato che scoraggia chiunque dall’attaccarlo sul serio.
In Medio Oriente, la forza viene tenuta in grande rispetto.
L’attitudine dell’intera comunità internazionale a ignorare i feroci crimini di guerra perpetrati nei paesi arabi è un fenomeno importante.
Ogni tanto i paesi occidentali condannano gli spietati bombardamenti russi e siriani e si scandalizzano per l’uso di armi chimiche, ma la cosa finisce lì.
Gli attacchi suicidi e le autobombe che seminano stragi in Iraq non fanno più nemmeno notizia.
Non è difficile immaginare cosa accadrebbe allo stato d’Israele, se non fosse così forte: gli islamisti, che amano definirsi in guerra contro ebrei e crociati, si abbandonerebbero a crimini di guerra simili e anche peggiori.
E non è difficile immaginare il resto del mondo che, anche in quel caso, se ne starebbe in disparte. La nostra forza ci garantisce la sopravvivenza.
C’è un altro punto che appare sempre più chiaro. Paesi musulmani instabili minacciati al loro interno, a partire da Egitto e Giordania, hanno sempre più bisogno dell’aiuto di Israele: sia dichiarato apertamente, sia praticato tacitamente.
L’Egitto chiede e riceve assistenza dall’intelligence israeliana per la sua guerra contro il ramo nel Sinai dello “Stato islamico” (ISIS). E chiede e riceve l’assistenza diplomatica d’Israele nei suoi negoziati con i paesi dell’Africa, in primo luogo l’Etiopia, sul problema della gestione delle acque dal fiume Nilo.
Re Abdullah II di Giordania si trova ad affrontare la minaccia interna dei Fratelli Musulmani e la minaccia esterna dell’ISIS e del ramo siriano di al-Qaeda, oltre alla minaccia dell’Iran che aspira a realizzare una “mezzaluna fertile sciita” estesa da Doha a Beirut.
Israele probabilmente sostiene Abdullah, nell’interesse di mantenere la pace al proprio confine orientale.
L’accordo miliardario siglato la scorsa settimana per l’esportazione di gas naturale da Israele alla Giordania è indicativo della natura del rapporto fra i due paesi. Anche qui, essere forti dà i suoi frutti.
Quando due anni fa venne discusso il cessate il fuoco ufficiale con Hamas, l’intesa venne respinta dal leader spirituale dalla Fratellanza Musulmana, Yusuf al-Qaradawi: secondo lui, la disponibilità di Israele a firmare una tregua era un chiaro segno di debolezza e di conseguenza era proibito accettare un accordo di cessate il fuoco.
In Medio Oriente, ai forti viene risparmiata la necessità di usare la loro forza. La loro forza è la migliore garanzia: se non di pace, almeno di una vita senza guerra.
(Da: Israel HaYom, 6.10.16)