L’inizio del nuovo anno non è dei migliori.
I prossimi giorni saranno duri per i Paesi che investono maggiormente nella difesa e che si sentono ora incapaci anche solo di catturare i terroristi come il carnefice della discoteca Reina di Istanbul o l’attentatore del mercatino di Natale a Berlino, rintracciato per pura coincidenza.
Daesh (ISIS) ha perso la metà dei territori che controllava dal 2014 e ciò ha portato alla fuga dei combattenti e alla loro sete di vendetta.
C’è chi parla del ritorno di 5 mila combattenti, e il numero è destinato a crescere fino al completo crollo del “califfato”.
Marc Trévidic, il magistrato francese con esperienza decennale nel settore del terrorismo, parla di un anno terribile per la Francia ma culminante per chi vuole diffondere il terrorismo, specialmente nel periodo antecedente alle elezioni francesi.
Così come la lotta al terrorismo si è intensificata, anche il terrorismo si è dimostrato cangiante così da sfuggire al controllo.
Quella dei “lupi solitari” e delle microcellule autonome è forse la strategia più usata dai terroristi. Per questo il presidente Hollande ha consentito all’intelligence e al suo esercito di uccidere i terroristi francesi in loco: per prevenire un loro ritorno in Francia.
Ma se i casi finora da lui approvati sono quattro, i dati divulgati dalla stampa parlano di centinaia di uccisioni di estremisti fuori e dentro la Francia.
Tutti i mezzi sono permessi dunque per sbarazzarsi degli estremisti europei anche senza previo processo.
Daesh sta collassando, ma il pensiero estremista continuerà e il fermento ideologico richiede di essere esaminato oltre.
David Thomson che ha condotto uno studio sul campo sui movimenti estremisti dall’inizio della rivoluzione tunisina, è andato alla ricerca delle motivazioni che si nascondono dietro al vissuto dei suoi intervistati.
Prendiamo ad esempio la Moschea di Kairouan in Tunisia – La Grande Moschea di Kairouan, chiamato Oqba Ibn Nafi nome del suo fondatore, un capo militare propagatore dell’Islam nel tempo degli Omayyadi, è un simbolo di tunisina dell’Islam.
Kairouan è anche considerata la quarta città santa dell’Islam da parte di alcuni musulmani. Il messaggio è chiaro: lo Stato Islamico ha deciso di rendere la Tunisia il bersaglio.
Perché?
Lo Stato Islamico critica Tunisia la stessa cosa di paesi musulmani impegnati nella transizione democratica, hanno fatto un patto con il diavolo, l’Occidente.
La Tunisia è tanto più vulnerabile è il paese che ha il maggior numero di cittadini jihadisti in Siria, Iraq commessi (3000 ritorni in loco e 500 secondo i dati ufficiali) e la Libia (diverse centinaia).
I jihadisti sperano di far deragliare il processo di transizione democratica seminando il caos per mezzo del quale si vogliono prendere il potere.
Due i mezzi a loro disposizione per questo: assassinare politici o l’indirizzo dei turisti che mantengono l’economia del paese.
Thomson opera un distinguo tra il jihad in Afghanistan verso cui si recavano singoli combattenti, e quello siriano in cui gli adepti partono con figli e mogli che vengono a loro volta addestrati all’ideologia estremista.
I medici, gli architetti e i figli di migranti da lui intervistati parlano tutti di “colonizzazione” e “delusione”.
Sono violenti che hanno perso il loro paese, le loro case e la speranza e così la rabbia si tramuta in quell’ultimo gesto disperato compiuto a detrimento di altri.
Forse combattere il terrorismo non è l’unica cura: per estirpare la violenza non si usano gli aerei ma la giustizia e l’amore, persino verso coloro che hanno fatto dell’odio il loro credo.