L’ascesa al potere di Donald Trump alimenta un nuovo dibattito in Libano
Nel 2016 ci sono voluti 45 giorni. Un governo “di unità nazionale” con 30 ministri dei diversi partiti.
Il Kataeb (Falange) non ha voluto parteciparvi.
Creato un ministero per i diritti delle donne e uno per i rifugiati.
Le pressioni del patriarca Bechara Rai.
Il primo governo sotto la presidenza di Aoun, eletto lo scorso 31 ottobre 2016 – dopo due anni e mezzo di vuoto della carica – comprende 30 ministri, di cui sei sono ministri di Stato, suddivisi in modo uguale fra cristiani e musulmani.
Alla conferenza stampa indetta subito dopo l’annuncio della formazione, Hariri ha sottolineato che il nuovo governo può essere definito “di unità nazionale” perché raduna molti rappresentanti dei partiti politici.
Egli ha anche detto che il compito del suo gabinetto sarà quello di affrontare le emergenze acute del Paese (elettricità, rifiuti, acqua, sicurezza) e stilerà una nuova legge elettorale per portare il Libano a nuove elezioni.
Un governo di compromesso, quello di Hariri che però non è riuscito a includere nei ministeri qualcuno del partito dei Kataeb (Falange), i quali si sono rifiutati di parteciparvi anche con le insistenze del premier e del presidente.
Fra le novità: è stato creato un ministero per i diritti delle donne e uno per i rifugiati, data la presenza di oltre un milione di profughi siriani sul territorio libanese.
Altri nuovi ministeri: quello per gli affari del presidente della repubblica, dei diritti dell’uomo, per la lotta alla corruzione.
Fra i 30 ministri figura solo una donna: Inaya Ezzeddine, del gruppo legato a Nabi Berry, scelta come ministro per la riforma amministrativa.
Fra le voci che più hanno premuto per concludere I due anni e mezzo di vuoto istituzionale, vi è quella del patriarca maronita Bechara Rai.
Anche ieri mattina, alla messa da lui presieduta, egli a chiesto ai politici di mostrare “uno spirito di responsabilità e imparzialità facilitando la missione di formare un nuovo governo”.
A distanza di pochi mesi le cose sono già cambiate….
Mentre il nuovo presidente americano ha preso ufficialmente il potere da pochi giorni dopo una lunga campagna elettorale faccia a faccia contro il candidato democratico, Hilary Clinton.
Mentre l’America ha scelto il futuro successore di Obama, in Libano sorgono proteste con la richiesta di una nuova legge elettorale, innescando un acceso dibattito in tutto il Paese.
Gli Stati Uniti sono un Paese federale e il loro sistema elettorale prevede che i cittadini scelgano i “grandi elettori” che faranno parte del Congresso americano votando nel proprio Stato.
Il numero di senatori e i deputati assegnati ad ogni Stato è stabilito in proporzione agli abitanti, con i più popolati che hanno un peso maggiore sull’esito delle elezioni.
Il Congresso americano è costituito dalla camera dei Rappresentanti – dove sono presenti i rappresentanti in base alla maggioranza numerica – e dal Senato, dove per ogni stato sono presenti due senatori indipendentemente dal numero degli abitanti e che rispecchia il valore dell’uguaglianza degli stati membri.
Questa formula ha contribuito a rendere il sistema politico americano uno dei migliori al mondo, tanto da attirare migliaia di immigrati da ogni parte del globo nel corso dei secoli.
Il Libano è invece un’entità completamente diversa dagli Stati Uniti e la sua popolazione è molto eterogenea: nel Paese sono presenti infatti circa 17 minoranze religiose fra cristiani maroniti, drusi, sunniti e sciiti.
La legge elettorale ha sempre tenuto conto di questo elemento, garantendo una distribuzione dei seggi su base comunitaria, in proporzione alle dimensioni delle comunità in ciascun distretto elettorale.
Inoltre in base alla legge, il presidente della Repubblica appartiene ai cristiani maroniti mentre il premier alla componente sunnita.
Questo compromesso ha permesso il raggiungimento e il consolidamento di un equilibrio per diversi anni ma oggi, dopo la formazione di un nuovo governo, è nata una disputa per cambiare l’attuale legge elettorale, mal digerita da ogni fronte politico e dalla popolazione che chiede un nuovo approccio alla vita politica.
La differenza tra gli americani e i libanesi e che i primi hanno imparato dalle diverse esperienze e dai loro sbagli, mentre la classe politica libanese ricade negli stessi errori che la accompagnano oramai da anni, il più importante dei quali è l’immobilismo politico.