Oggi, lunedì 30 gennaio, il re del Marocco Mohammed VI è atteso, assieme ad una folta delegazione composta da ministri e consiglieri, per presenziare al prossimo incontro dell’Unione Africana, nel quale si discuterà il ritorno del Paese magrebino nelle file dell’Organizzazione.
Il Sovrano è stato preceduto dal “suo” ministro degli Esteri Salaheddine Mezouar, il quale ha intrattenuto un incontro segreto col presidente della commissione Dlamini-Zuma.
Nkosazana Dlamini-Zuma (Natal, 27 gennaio 1949) è una politica e medico sudafricana, attuale presidente della Commissione dell’Unione africana.
È stata Ministro della Salute dal 1994 al 1999, sotto la presidenza di Nelson Mandela, e anche Ministro degli Affari Esteri dal 17 giugno 1999 al 10 maggio 2009, con i presidenti Thabo Mbeki e Kgalema Motlanthe.
Ha assunto l’incarico di Ministro degli Affari Interni nel governo del presidente Jacob Zuma, suo ex marito, il 10 maggio 2009.
Il 15 luglio 2012 Dlamini-Zuma è stata eletta dalla Commissione dell’Unione africana come presidente, rendendola la prima donna a capo dell’organizzazione (compreso il suo precedente, l’Organizzazione dell’unità africana).
Il Regno del Marocco non fa parte dell’UA dal 1984 (quando questa ancora portava il nome di Organizzazione dell’Unità Africana), quando lasciò l’Organizzazione per protestare contro l’ingresso della Repubblica Saharawi, territorio conteso tra governo marocchino e Fronte Polisario, sin dal 1976.
Cerchiamo di capire di cosa parliamo : il 27 febbraio del 1976 a Bir Lahlou, piccola oasi nell’angolo nord-orientale del Sahara Occidentale, il Fronte Polisario proclamava la Repubblica Araba Saharawi Democratica (Rasd).
Oggi come allora resta uno stato fantasma, riconosciuta da 81 paesi, ma non dall’Onu e dall’Ue.
Ma qualcosa potrebbe cambiare se la posizione assunta negli ultimi giorni dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che ha garantito l’impegno ad operare affinché si giunga ad una soluzione del conflitto con il Marocco, sarà mantenuta fino in fondo.
Ma a luglio scorso, durante un vertice tenutosi in Burundi, il Paese ha fatto richiesta ufficiale per rientrare.
Malgrado la questione “rientro” goda dell’appoggio di ben 40 nazioni su 54, stando alle parole del ministro Mezouar, Algeria, paese da sempre al fianco del popolo saharawi, e Sudafrica pongono molti ostacoli ad essa.
A garantire dal primo momento totale sostegno al popolo saharawi, che rivendica la sovranità sul Sahara occidentale, come il regno marocchino che controlla l’80% del territorio, è stata l’Algeria.
Mentre si esaurivano le ultime esperienze coloniali europee nel continente africano, iniziava il neocolonialismo del Marocco, che non ha esitato a erigere il muro più lungo del mondo pur di affermare la propria supremazia.
Nè l’intervento dell’Onu, né la ferma posizione di gran parte degli stati dell’Unione africana sono riusciti a favorire, ad oggi, una soluzione diplomatica del conflitto.
Proprio nei giorni in cui si celebrava il quarantennale della proclamazione dello Stato senza Patria, il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika esortava le Nazioni unite a intervenire per rilanciare i colloqui di pace.
“Siamo certi che una rapida definizione della questione” abbia a che fare con la “responsabilità dell’Onu, per riportare le parti al tavolo delle trattative, affinché si giunga a un accordo soddisfacente per tutti”.
Il principale ostacolo messo in campo da Algeria, Sudafrica ed altri paesi nella loro orbita, sta nel fatto che non basta che Rabat abbia il benestare di più della metà dei membri dell’UA o che partecipi o meno alle sue riunioni: è necessario il voto favorevole di ben due terzi del consiglio.
Algeri e Pretoria spingono per la formazione di una commissione che assicuri il riconoscimento da parte del Marocco del fatto che i propri confini siano solo eredità del colonialismo francese (e quindi riconosca l’indipendenza della Rep. Saharawi), commissione i cui lavori vadano per le lunghe evitando che accada durante il turno di presidente dell’assemblea del leader guineano Alpha Condé, alleato strategico di Mohammed VI.
Le due Nazioni non risparmieranno colpi bassi a livello diplomatico affinché ciò non accada, essendo quello di presidente dell’Unione Africana un ruolo molto influente e non soltanto formale.
I candidati alla successione di Zuma, in fine, sono cinque: Finson (Botswana), Amine Mohammad (Kenya) Faqi Mohammad (Chad), Mokwi (Guinea Equatoriale) e Batili (Senegal).
Ma in realtà, l’elezione sembra essere più un referendum per eleggere il candidato senegalese, il quale ha già ricoperto il ruolo di inviato per la sicurezza generale dell’ONU nella Repubblica Centroafricana, mentre gli altri sono “solo” ex-ministri degli Esteri.