LIBIA ORIENTALE NEL CAOS

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La perdita di consenso del generale libico pone le basi per violenti scontri in Cirenaica nel prossimo futuro.

I recenti eventi nella Libia orientale mostrano il caos violento nel quale riversano gruppi tribali in seguito al fallimento da parte del generale Khalifa Haftar nel controllare Bengasi, dove da circa tre anni si combatte una battaglia contro le forze del Consiglio della Shura.

Chi è Khalifa Haftar, il generale che ha studiato in Unione Sovietica e ora offre la Libia a Mosca Si presenta come il “salvatore” della Libia dal caos e dai gruppi integralisti islamici, ma non tutti hanno fiducia in lui e in molti lo temono.

Salito a bordo dell’incrociatore russo Kuznetsov ha parlato con il Ministro della Difesa e ha promesso a Mosca una base in terra libica.

Il generale, 73 anni, proveniente dai ranghi dell’accademia militare di Bengasi, si è formato nell’allora Unione sovietica e ha partecipato al colpo di Stato del 1969 che portò al potere Muammar Gheddafi.

Durante la guerra fra Libia e Ciad Haftar, alla testa di un’unità, viene fatto prigioniero dall’esercito di N’djamena e sconfessato dal Colonnello.

Secondo Tripoli, il generale non faceva parte delle sue truppe.

È a questo punto che entrano in campo gli Stati Uniti. Lo liberano con un’operazione dai contorni non chiari e gli concedono asilo politico.

Negli Usa si unisce ai ranghi della diaspora libica, mentre sono in molti, a partire da Gheddafi, ad accusarlo di essere un agente della Cia.

Dopo vent’anni di esilio, rientra a Bengasi nel marzo 2011, poco dopo lo scoppio della rivolta contro il Colonnello, e viene nominato capo delle forze di terra dal Consiglio nazionale di transizione, braccio politico della ribellione.

Ai suoi ordini ci sono molti ufficiali del regime che hanno abbandonato Gheddafi.

Ma le autorità del “governo” di transizione non hanno in lui completa fiducia.

Lo considerano ambizioso, avido di potere e temono che punti alla leadership di una nuova dittatura militare.

Una feroce rivalità lo oppone al generale Abdel Fatah Younes, comandante militare della ribellione assassinato in circostanze mai chiarite nel luglio 2011, mentre diviene sempre più evidente il largo sostegno di cui Haftar gode tra i militari dell’ex regime.

Poco dopo la caduta di Gheddafi, 150 tra ufficiali e sottufficiali lo nominano capo di stato maggiore, tentando di mettere il Cnt davanti al fatto compiuto. Una nomina che, comunque, non viene mai ufficializzata.

Nelle sempre più rare apparizioni pubbliche, il generale critica sistematicamente le autorità, da lui accusate di aver marginalizzato gli ex ufficiali di Gheddafi anche quando sono passati rapidamente nelle file della ribellione. Nel febbraio 2014 Haftar ha diffuso sul web un video nel quale ha annunciato un’iniziativa contro il governo di transizione, che molti giudicano il “manifesto” di un colpo di Stato

Le milizie di Haftar si sono formate su base tribale dopo l’inizio della campagna militare a metà del 2014, la ormai celebre “Operazione Dignità” sotto l’emblema della “guerra al terrorismo”.

Tutto ciò prima di ottenere l’appoggio dei leader dei gruppi tribali che hanno fatto parte dell’operazione, al fine di trasformare un progetto militare in un progetto politico attraverso l’inclusione dei suoi alleati tribali nel parlamento di Tobruk, diventato ormai una sua fazione politica.

Nonostante i tentativi per guadagnare legittimità ottenendo l’alto grado militare di “Maresciallo”, anche dopo aver raggiunto l’età di pensionamento, e malgrado sia stato nominato comandante supremo delle forze armate, molti suoi leader e ufficiali militari lo hanno lasciato.

Il suo portavoce e uno dei fondatori dell’operazione, il maggiore Mohammad Hijazi, lo ha abbandonato all’inizio del 2015, così come il comandante del distretto militare delle Montagne Verdi, il colonnello Faraj al-Barasi.

Anche il colonnello Mahdi al-Barghathi, uno dei maggiori esponenti dell’operazione di Haftar, ha annunciato la sua alleanza con il governo di riconciliazione e attualmente ne ricopre la carica di ministro della Difesa.

Le posizioni a favore di Haftar hanno visto un declino in seguito ad annunci contrastanti e alla presenza di divisioni all’interno del gruppo tribale al-Barghathi, che controlla l’est di Bengasi fino alla città di al-Marj, fortezza del generale Haftar.

In questo contesto, un’altra tribù ha chiesto al generale di rendere chiara la sua posizione in merito all’attacco a uno dei suoi più importanti membri, il colonnello al-Barasi, vittima di un raid condotto da un gruppo armato appartenente allo stesso Haftar.

Da parte sua, il membro del parlamento Muhammad al-Dharath ha rivelato che il crescente fenomeno di omicidi nella regione orientale è dovuto al raggiungimento di successi politici e rappresenta un’opportunità per Haftar di liberarsi dei suoi alleati al comando dell’Operazione Dignità.

Dharath ha descritto i seguaci di Haftar come “bande criminali comprate con il denaro”.

Ha definito l’Operazione Dignità “fragile” e i suoi annunci per combattere il terrorismo “falsi” alla luce della mancanza di una grande autorità sul campo da parte di Haftar.

Inoltre ha previsto l’inizio di una violenta guerra tribale a est, fra gli oppositori e coloro che desiderano dividersi la posta in gioco con Haftar, in seguito al crescente deterioramento delle situazioni in Cirenaica.

Dharath ha anche sottolineato come, dopo due anni di combattimenti, pervasi da crimini di guerra, Haftar tenti di ottenere risultati nell’ultima zona di Ganfuda e di liberarsi dei suoi alleati, testimoni dei suoi crimini.

Infine, il parlamentare ritiene che i giorni di Haftar siano giunti al termine e che prevarrà il caos in Cirenaica, come nel resto della Libia, con scontri fra le milizie seguaci di Haftar e i combattenti Sahawat.

Ritiene che il generale aspiri a liberarsi di tutte le mani implicate nelle sue operazioni criminali, al fine di eliminare ogni prova che possa condurlo di fronte alla Corte penale internazionale.

Pertanto, Dharath esorta il popolo della Cirenaica all’immediata ribellione contro Haftar e i suoi alleati, ergendosi di fronte a esso e al fianco della nazione per evitare la diffusione del caos.

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