Una sola cosa è chiara: Trump ha buttato la palla nella metà campo di Abu Mazen

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Il presidente Usa ha fatto aspettare quello palestinese e poi l’ha chiamato per dirgli: smettila di correre dagli enti internazionali, vieni a Washington, fai la tua parte che a Netanyahu ci penso io!

 

Un paio di rapide considerazioni dopo la prima telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen).

Prima considerazione. La nuova amministrazione degli Stati Uniti è riuscita a esasperare Abu Mazen.

L’Autorità Palestinese ha puntigliosamente contato i 49 giorni dall’ingresso di Trump alla Casa Bianca durante i quali il presidente americano ha telefonato due volte a Netanyahu e lo ha calorosamente accolto a Washington.

Trump ha chiamato anche tutti gli altri attori della regione, che si tengono a distanza dal conflitto israelo-palestinese: il re di Giordania Abdullah II, con il quale pure il presidente americano si è incontrato, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, il re saudita Salman e i tre sovrani dei regni del Golfo Persico. Abu MAzen si è ritrovato in fondo alla lista.

Trump ha anche fatto in modo di dichiarare che non gli importa se la questione sarà risolta con uno stato o due stati purché lo decidano le parti, ma ha avvertito Netanyahum con un messaggio colto al volo dal ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman, di darsi una calmata con le costruzioni negli insediamenti.

Nel caso non bastasse, Trump ha sostenuto la nomina ad ambasciatore in Israele del “falco” David Friedman, ma – per ora – ha lasciato cadere il progetto di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

Seconda considerazione. Fino a nuovo avviso, possiamo aspettarci solo ovvietà senza particolare significato.

Il capo della sala-stampa della Casa Bianca Sean Spicer ha confermato la notizia che Trump ha invitato Abu Mazen a Washington: presto, ma in data da stabilire.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

Nel frattempo i funzionari palestinesi hanno descritto la telefonata fra i due come “eccellente” e di tono “serio e gradevole”, mentre lo stesso Abu Mazen dichiarava d’essere ansioso di lavorare con il nuovo presidente.

Si è trattato di una breve telefonata, con entrambe le parti che dicevano esattamente quello che ci si aspettava che dicessero: Trump afferma d’aver preso la decisione di riavviare i colloqui di pace senza cercare di imporre soluzioni; Abu Mazen sottolinea d’essere pronto a ogni sforzo che porti alla creazione di uno stato palestinese accanto a Israele.

In altre parole: Trump ha gettato la palla nella metà campo di Ramallah. Abu Mazen vuole uno stato palestinese?

Prego ahlan wasahlan, nessun problema.

Venga a Washington, sarà accolto con il tappeto rosso, e insieme penseremo a come riavviare il processo.

A condizione che si renda conto sin dall’inizio che non tutte le loro pretese saranno soddisfatte. Solo, non venga a raccontare storie sull’opinione pubblica palestinese.

Non dobbiamo dimenticare che Trump arriva con una concezione da mondo degli affari.

E’ stato avvertito che il conflitto israelo-palestinese è un pantano, e che i suoi predecessori hanno investito tempo e sforzi preziosi nella ricerca di una qualche soluzione, formando gruppi di lavoro e spendendo decine di milioni di dollari.

E non bisogna dimenticare che il conflitto israelo-palestinese non è in cima alla priorità di Trump quando si tratta di questa parte del mondo. Per lui è molto più importante acciuffare il capo dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi e sbarazzarsi dell’ISIS in generale.

Sicché, quando Trump dice ad Abu Mazen che è ora di porre fine a settant’anni di patimenti dei palestinesi, intende: se davvero lo vuoi fare, smettila di correre in giro per le istituzioni internazionali, fai la tua parte e a Netanyahu ci penso io.

Detto questo, il mistero di quello che Trump vuole davvero, quali siano i suoi obiettivi e quanto sia veramente disposto a investire, deve ancora essere svelato.

Il 14 Marzo  un inviato di Trump ha parlato di pace con Abu Mazen

 © EPA

“Un largo e positivo scambio di vedute sull’attuale situazione”.

Così l’inviato speciale per il processo di pace del presidente Donald Trump, Jason Greenblatt, ha definito l’incontro avuto oggi a Ramallah con il leader palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas).

“Abbas ed io – ha twittato al termine della riunione – abbiamo discusso di come procedere verso la pace, costruendo le capacità delle forze di sicurezza palestinesi e fermando l’istigazione”.

Greenblatt ieri ha avuto una riunione di cinque ore con il premier israeliano Benyamin Netanyahu.

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