In corso a Teheran la visita di una delegazione d’imprenditori nipponici guidata dal ministro degli Esteri.
Timori dalla Cina per lo sviluppo di materiale nucleare da parte del Giappone, che già avrebbe materiale sufficiente per costruire 1.350 testate nucleari.
Dopo 14 anni, il Giappone fa visita all’Iran. Successivamente alla delegazione agostana guidata dal viceministro del Tesoro, Daishiro Yamagiwa, è ora la volta del Ministro degli Esteri, Fumio Kishida, che sta accompagnando a Teheran imprenditori nipponici interessati a fare ripartire e le centrali nucleari e il mercato automobilistico.
L’Iran era, prima dell’inizio delle sanzioni, uno dei principali partner commerciali del Giappone.
Dalla Repubblica islamica, Tokyo importava il 10% dei propri idrocarburi.
Un paese con scarse risorse naturali, come il Giappone, che, per fare fronte al fabbisogno energetico, ha importato nel solo 2013 gas naturale liquefatto spendendo ben 70 miliardi di dollari, potrebbe “trarre beneficio” sul piano economico dall’accordo sul nucleare firmato dall’Iran e le grandi potenze.
“Vogliamo approfittare di questa opportunità”, ha spiegato il ministro Kishida, annunciando la creazione di un consiglio di cooperazione bilaterale.
Tuttavia, i dati forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica dimostrano che Tokyo sarebbe già in possesso di 47,8 tonnellate di plutonio separato e di 1,2 tonnellate di uranio altamente arricchito.
Le scorte rischiano addirittura di aumentare, a causa della prossima riattivazione dell’impianto di riprocessamento del combustibile esausto di Rokkasho.
Secondo uno studio condotto dall’Associazione cinese per il disarmo e il controllo delle armi e dall’Istituto cinese per l’informazione sul nucleare, tanto basterebbe per fabbricare 1.350 testate nucleari.
Il documento denuncia perciò la preoccupazione proveniente dalla Cina perché “l’equilibrio tra la domanda e la fornitura di uranio e plutonio”