Questa settimana lo tsunami delle borse mondiali ha portato in piena evidenza le problematiche economiche nazionali, sempre più travestite da nuove notizie di ampi slanci di crescita e rinnovata energia.
La politica non dà ne risposte concrete ne priorità nelle azioni da intraprendere per sanare una situazione divenuta insostenibili.
Il debito italiano non diminuisce, anzi è salito di 76 miliardi di euro.
Il grafico della Banca Mondiale parla chiaro: le previsioni di crescita per il 2015 e il 2016 sono in ribasso, nonostante le parole al vento dei vari Renzi, Hollande, Obama e compagnia cantando.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, la Banca Mondiale ha abbassato le sue previsioni di crescita globale per il 2015 e il 2016 a causa di prospettive economiche deludenti nella zona euro, in Giappone e in alcune delle principali economie emergenti, che hanno compensato il beneficio di prezzi del petrolio più bassi.
L’economia globale crescerebbe del 3% nel 2015, a fronte di una previsione del 3,4% realizzata nel mese di giugno 2014. La crescita del PIL mondiale raggiungerà il 3,3% nel 2016, contrariamente alla previsione di giugno 2014, che segnava un +3,5% per il 2016.
“L’economia globale è in un momento sconcertante,” ha detto ai giornalisti il capo economista della Banca mondiale Kaushik Basu, aggiungendo che “la ripresa è stata molto più lenta del previsto dopo la crisi finanziaria globale 2007-2009”.
La Banca Mondiale ha detto che le prospettive di forte crescita negli Stati Uniti e Gran Bretagna differenziano questi paesi da altre nazioni ricche, tra cui alcuni membri della zona euro e lo stesso Giappone, che invece continuano a soffrire di anemia economia e deflazione.
“Attualmente l’economia globale viaggia su un singolo motore, quello americano” ha sottolineato Basu, “e questo non permette di fare prospettive rosee per il resto del mondo.”
Le condizioni critiche di Brasile e Russia in particolare e il rallentamento della Cina hanno pesato sulle previsioni al ribasso di crescita globale realizzate dalla Banca Mondiale.
Che cosa significa tutto questo per l’Italia? Il Premier Renzi conosce questi dati? Oppure continua a raccontare frottole a destra e manca, parlando di una ripresa che non c’è?
La realtà dei fatti è che nei prossimi due anni almeno ci sarà ancora da soffrire e in un Paese come il nostro – già in sofferenza, senza nessuna prospettiva di crescita, soffocato dalle angherie tedesche, governato da corruzione e mafie – la cinghia sarà più stretta che nel resto del mondo.
L’assurdità sta proprio qui: è noto come il debito sia, insieme al sistema della Previdenza e della Tv pubblica, una vera zavorra per lo sviluppo del Paese; eppure qualunque governo, che sia di destra, centro o sinistra, tecnico o politico, di coalizione o di pacificazione nazionale, pare dimenticarsene non appena prestato il giuramento.
Durante le elezioni sono stati fatti grandissimi proclami, ma poi il canovaccio è sempre quello: tassa, fai debiti e spendi.
Di recente Carlo Cottarelli, ex commissario alla Spending Review dimessosi in polemica con Renzi, di fronte ad una platea di studenti aveva ammonito:
Le attuali condizioni favorevoli sul mercato dei capitali sembrano aver fatto scivolare in secondo piano questo problema; e sarebbe un errore perché un dato ancora molto alto ci espone a potenziali rischi elevati. È chiaro che in determinate circostanze può risultare necessario accrescere la spesa pubblica per stimolare l’economia, ma oltre certi limiti non si può andare. È il caso dell’Italia che lo scorso anno ha fatto registrare uno dei rapporti tra debito pubblico e prodotto interno lordo più alti della sua storia: 133 per cento, un dato che ci pone al terzo posto nella graduatoria di demerito dei Paesi avanzati, alle spalle di Giappone e Grecia.
Neanche a farlo apposta, i rischi paventati da Cottarelli sul “Sistema Italia” si sono puntualmente verificati, con il crollo del valore di molti titoli bancari su Piazza Affari, col timore che si inneschino altri crac a cascata con conseguenti ricadute sociali.
Alla faccia del solido sistema bancario elogiato a più riprese dal Ministero dell’Economia e dalla Presidenza del Consiglio: escusatio non petita per giustificare l’iperattività dimostrata dal Governo nel campo della finanza, che ahimé non ha dato i risultati sperati.
Purtroppo è impensabile che per un Paese con un indebitamento a livello record, secondo solo a quello della Grecia, si possa elaborare un piano di salvataggio come avvenuto qualche anno fa in altri Stati europei e negli USA: non solo non lo permetterebbero più le norme, ma mancherebbe persino il denaro per poterlo attuare.
La situazione è figlia dell’incapacità di tagliare e razionalizzare i troppi sprechi e gli stipendifici che hanno dissanguato l’Italia dalla Prima Repubblica in avanti.
![presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi](http://cdn1.img.it.sputniknews.com/images/03/54/035414.jpg)
Cambiano gli attori, dicevamo, ma il copione resta uguale.
Ne è una dimostrazione la notizia che il Governo varerà un decreto, su proposta del Ministro dell’Economia, volto a escludere parzialmente o totalmente alcune società partecipate dalle nuove norme della riforma Madia.
Per intenderci, il decreto Madia è quello che dovrebbe dare una stretta ai carrozzoni a partecipazione pubblica.
Questo provvedimento, che ancora una volta affida al premier un discutibile potere di scelta soggettiva che fa il paio coi poteri autoassegnatisi in tema di Cda della RAI, relega in secondo piano l’idea di una pulizia globale del sistema e crea una zona grigia sulla quale continuerà il controllo diretto della politica e cioè quello delle mani bucate.
La scelta è incomprensibile, in particolare visto che la quota interesse, complice il calo dello spread e il Quantitative Easing di Draghi, ha continuato a scendere.
Basti pensare che proprio quest’ultimo intervento della Banca Centrale Europea ha fatto risparmiare in 9 mesi agli italiani 26 euro a testa per gli interessi sul debito. Se presto o tardi gli italiani salderanno il salatissimo conto delle scelte dei loro governi, tale salasso verrà pagato sul fronte delle politiche estere.
Le frasi renziane tipo Non perdo la faccia per due tubi (parole riferite alla moral suasion che il Governo avrebbe dovuto mettere in atto nella realizzazione del gasdotto North Stream) e gli attacchi scomposti, come quello a Junker perchè è a rischio l’avvallo sulla Legge Finanziaria, porteranno solamente conseguenze nefaste a tutti gli italiani. E dopo il solito bluff del premier, con la richiesta di una riunione per rivedere i rapporti con la Russia, ecco che il Governo conferma di nuovo le sciagurate sanzioni, aggravando i danni all’economia reale, quantificabili in più di 2 miliardi e mezzo nel 2015. L’orchestra governativa di Renzi va avanti a suonare, mentre il Titanic Italia continua ad affondare.
parte fonte sputnik