A partire dal vertice dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) di Vienna, il costo del petrolio è aumentato circa dell’8%, arrivando ad un prezzo compreso tra i 49 e più di 50 dollari dopo che l’organizzazione ha deciso di diminuire la produzione a circa 1,2 milioni di barili al giorno.
È un risultato importante, perché l’OPEC è riuscita a superare le tensioni e i problemi politici dei singoli Stati membri per raggiungere un accordo che proteggesse gli interessi di tutti.
Venerdì prossimo Doha ospiterà un meeting tra i ministri dell’OPEC e i Paesi produttori di petrolio esterni all’organizzazione. Un occhio di riguardo andrà alla Russia, che ha promesso di ridurre la sua produzione a 300.000 barili al giorno.
Ciò rappresenta una decisione straordinaria, visto che Mosca non si è mai impegnata in questo senso.
Adesso la situazione, però, è diversa: l’economia del Paese ha un disperato bisogno di aumentare i prezzi del petrolio, nonostante sia uno dei giganti in questo campo.
La Russia ha bisogno di aumentare le sue entrate, considerando le spese del suo coinvolgimento nella guerra in Siria.
La scommessa dell’OPEC si basa sul fatto che la decisione della la Russia faccia impegnare anche il ministro dell’Energia saudita Khalid al-Falih e il ministro algerino Noureddine Bouterfa, che hanno fatto grandi sforzi con l’Iran, l’Iraq e la Russia, a raggiungere questo accordo.
Secondo il ministro dell’Energia del Qatar, Mohammed Saleh al-Sada, il quale ha collaborato in prima linea per il raggiungimento dell’accordo, l’incontro di Doha rafforzerà l’impegno dei Paesi esterni all’OPEC a ridurre la produzione di barili fino a 600.000al giorno, tenendo conto del taglio operato dalla Russia.
Tra questi si pensa all’Oman, al Kazakistan e ad altri che vogliano diminuire la loro produzione per aumentare i guadagni.
Se l’accordo verrà applicato e non ci saranno manipolazioni da parte di quei Paesi che storicamente non sono favorevoli, allora questo sarà un passo importante per l’OPEC che ha operato un miglioramento della domanda del petrolio al fine di proteggere gli interessi comuni.
Allo stesso tempo, però, costituisce un rischio nel medio termine, circa di un anno. Nella fattispecie l’aumento dei prezzi potrebbe spingere alcuni produttori americani a tornare al petrolio di scisto.
L’OPEC si trova di fronte a un dilemma: raggiungendo l’accordo i Paesi membri potrebbero godere dei prezzi più alti e risanare le loro finanze; allo stesso tempo, però, si dovrebbe spingere i Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD), in particolare quelli più ricchi, a diversificare la loro economia e a sviluppare altre aree in cui investire, perché in futuro i guadagni diminuiranno.
È un’opzione tutt’altro che remota se gli Stati Uniti investiranno in quelle aziende che producono petrolio di scisto, che fino adesso hanno avuto un ruolo marginale nell’esportazione del gas.
Bisogna anche ricordare che tra i Paesi dell’OPEC ce ne sono anche di politicamente instabili, la cui situazione non verrà modificata dall’aumento dei prezzi del petrolio. Tra questi il Venezuela, la Libia e la Nigeria.