ITALIA : CITTADINANZA – Da “jus sanguinis” a “jus soli”

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La Camera ha approvato recentemente una legge che modificherà parzialmente il diritto di ottenere la cittadinanza italiana.

Si passerà dal concetto “jus sanguinis” a quello “jus soli”.

Non è ancora detto che tale legge riesca a diventare esecutiva perché manca ancora l’approvazione del Senato e le opposizioni che già si sono opposte potrebbero (difficilmente) avere una maggior chance nella cosiddetta Camera Alta.

La differenza tra i due concetti sta nel fatto che, con la legge del “sangue” in vigore, ogni nuovo nato che abbia almeno uno dei genitori di nazionalità italiana la acquisisce automaticamente anche se è nato all’estero purché la sua esistenza sia dovutamente segnalata alle competenti Autorità italiane rispettando le procedure previste.

L’italianità’ è dovuta anche a coloro che hanno un nonno o bisnonno italiano, indipendentemente dalla sua residenza o luogo di nascita. Fino a pochi anni fa era una pratica possibile anche molti anni dopo, purché si potesse dimostrare l’italianità’ dell’avo.

Il nostro passaporto lo hanno, invece, ottenuto molti altri soggetti residenti nei più svariati Paesi, purché discendenti da un lontano avo italiano emigrato perfino tre o quattro generazioni prima.

Invece, secondo il “diritto del suolo” già in vigore in altri Paesi, basta nascere sul territorio di quello Stato per diventarne automaticamente cittadini. E’ una regola applicata soprattutto da quei territori, ex colonie, che, con grandi superfici disponibili e poca popolazione, volevano attirare nuovi soggetti per favorire lo sviluppo economico interno. Parliamo, in particolare di Nord e Sud America.

Il progetto approvato alla Camera, impone invece che, oltre alla nascita sul nostro territorio (o ivi arrivato prima dei dodici anni di età), almeno uno dei genitori sia regolarmente residente in Europa con un permesso di soggiorno di lunga durata e ne faccia formale richiesta. Il soggetto può decidere anche autonomamente di richiederla una volta raggiunta la maggiore età, ma entro il compimento dei venti anni.

Vediamo se riusciamo a coinvolgere più partiti possibili – ha aggiunto il premier italiano
© FOTOLIA/ FABIOMAX
Cittadinanza, in Italia via libera allo ius soli

A oggi, i cittadini “italiani” residenti all’estero (iscritti all’AIRE e con diritto di voto) sono circa quattro milioni, una buona parte dei quali non è nata sul nostro territorio e, magari, in Italia non è mai nemmeno venuta. Di più: molti di costoro nemmeno parlano italiano. Perché dunque hanno voluto anche la nostra nazionalità? La risposta sta in quell’«anche».

Da qualche decennio, è diventato normale che gli Stati (non ancora tutti, comunque) riconoscano il diritto ad avere anche due (o in alcuni casi più) nazionalità.

Avere quindi due passaporti, di cui uno dell’Unione Europea è perciò diventato possibile e molto comodo, almeno per una questione di visti.

Ad esempio, molti sudamericani aspiravano, fino a prima della modifica del sistema d’ingresso negli USA, a un passaporto italiano poiché questo documento permetteva loro di passare la frontiera senza bisogno di visti e, anche chi progettava di trattenervisi poi irregolarmente, poteva almeno semplificarsi l’ingresso.

Altri parlanti spagnolo puntavano invece a emigrare in Spagna ove un qualunque cittadino italiano, considerate le regole europee, aveva diritto di vivere e lavorare senza il bisogno di alcun permesso aggiuntivo.

Oggi poi, con Schengen, un nostro passaporto è diventato ancora più comodo.

Il passaporto della Repubblica Italiana
© FLICKR.COM
Il passaporto della Repubblica Italiana

Fino a che i fenomeni migratori verso l’Europa sono stati contenuti nei numeri, non si è posto alcun problema, salvo, dopo l’acquisizione della nazionalità, dare il diritto di voto anche a chi non solo in Italia non pagava le tasse, ma nemmeno si premurava di imparare la nostra lingua.

Tuttavia, se è vero, come sostiene qualcuno, che gli italiani e i loro discendenti sono nel mondo più di quaranta milioni, chi ha formalmente acquisito il nostro passaporto costituisce solo una minima parte di coloro che, in teoria, potrebbero farlo.

Di conseguenza, la loro influenza sugli equilibri del nostro Parlamento è irrisoria con l’eccezione delle elezioni 2006 in cui il loro voto fu decisivo per ottenere una certa maggioranza (attualmente, possono eleggere dodici deputati e sei senatori- obbligatoriamente residenti all’estero-, salvo riforma del Senato tuttora in via di approvazione).

Gli stranieri regolarmente presenti nel nostro Paese sono invece (per ora) circa tre milioni e, anche se la legge dovesse passare definitivamente, solo una minima parte di loro, a oggi, potrebbe rientrare negli aventi diritto.

Nel frattempo, vale sempre la regola che chi risiede da noi continuamente da più di dieci anni e non si è macchiato di reati penali può presentare domanda di cittadinanza e ottenerla.

La legge chiede a questi ultimi di dimostrare di parlare la nostra lingua e, teoricamente, di conoscere la nostra cultura. Anche chi sposa un nostro concittadino, dopo tre anni dal matrimonio, acquisisce lo stesso diritto.

Sorvoliamo sul fatto che sia la prova della lingua sia quella sulla cultura sono solo formalità raramente applicate.

Il concetto che vi sta dietro è che la presenza continua nel nostro Paese li ha fatti, automaticamente, aderire al nostro modo di essere e la necessità che sia presentata la formale domanda dimostrerebbe un forte desiderio di diventare italiani (per amore verso di noi?) a tutti gli effetti.

Putin e Berlusconi insieme nel 2012
Berlusconi potrebbe chiedere la cittadinanza russa
Attualmente, in Italia la differenza tra essere “cittadini” o semplicemente “residenti” sta, in pratica, solo nel diritto di voto perché quasi tutti gli altri diritti (sanità, graduatorie pubbliche etc.) valgono già per entrambi.Quanto sopra è una piccola fotografia della situazione, ma tutta la questione pone altri grandi problemi.

Innanzitutto ci sarebbe da capire, di là dagli aspetti formali, cosa significa essere “italiani” (o francesi, inglesi, cinesi, russi etc.). E’ sufficiente condividere la lingua? Basta vivere sullo stesso territorio? Praticare la stessa religione?Avere in comune la stessa storia passata? O si devono condividere gli stessi valori? Oppure gli stessi geni biologici?

E poi, per parlare di “Nazione” è sufficiente essere società o ci si deve sentire una “comunità”?

monete euro
© FOTOLIA/ EYETRONIC
Reddito di cittadinanza per la prima volta in Lombardia

A secondo di come si voglia rispondere a questi quesiti, cambia automaticamente la risposta giuridica più opportuna e diventa più facile propendere per lo jus sanguinis o lo jus soli.

Certamente non è un problema semplice ma senza porsi quelle domande la scelta resta solo umorale.

C’e’ però un altro problema, ancora più complesso: oramai diamo per scontato il diritto ad avere più nazionalità ma, in caso di conflitto tra uno Stato e l’altro, il cittadino di entrambi con chi starà?

Durante la seconda guerra mondiale molti italo-statunitensi e nippo-statunitensi, così come discendenti di italiani e tedeschi che vivevano in Unione Sovietica, furono isolati o addirittura deportati.

Anche senza arrivare alla guerra, per chi faranno il tifo i pluri-cittadini se dovesse sorgere un qualunque contenzioso?

Ognuno di noi cerchi la sua risposta e la comunichi poi a quei politici che fanno le leggi prima di interrogarsi sulle loro conseguenze.

FONTE : SPUTNIK

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