La Tunisia si prepara ad ospitare nei prossimi giorni la conferenza internazionale sull’investimento Tunisia 2020, promossa da diversi paesi, tra cui Francia e Qatar.
È questa la seconda conferenza dopo la prima nell’ottobre del 2014 che ha deluso le promesse annunciate.
Da allora, infatti, la situazione del paese è peggiorata con conseguente declino dell’investimento sia estero che interno, chiusura di diverse organizzazioni straniere, privatizzazione, indebitamento nazionale, riduzione del tasso di sviluppo economico e crescita preoccupante del tasso di disoccupazione.
L’attuale situazione economica sembra essere dunque molto più critica della nostra e vi è chi la considera addirittura catastrofica, riferendosi ai diversi rapporti nazionali e internazionali pubblicati da fidati esperti ed enti finanziari ed economici.
Si credeva che la rivoluzione potesse da sola incentivare gli investimenti, mentre la democrazia e la libertà – compresa la libertà di iniziativa, trasparenza e integrità economica – fossero alla base della crescita economica.
Al contrario, niente di tutto ciò è avvenuto in Tunisia, tanto che il paese si trova oggi sull’orlo del collasso e centinaia di istituzioni straniere e nazionali hanno chiuso le loro porte.
Mentre alcuni si sono affrettati a condannare la rivoluzione come sinonimo di disordine sociale e declino economico, soprattutto per gli scioperi che hanno bloccato la produzione o le richieste eccessive e talvolta assurde, con i conseguenti rischi alla sicurezza, si deve riconoscere alla base di tale caos due ragioni fondamentali.
La prima che rimanda al regime di Zine el-Abadi Ben Ali, nel quale hanno investito enorme somme di denaro perché contrari alla transizione democratica, schiacciando i sogni di libertà e democrazia del popolo tunisino.
Dall’altra parte, l’ascesa degli islamici al potere che ha spinto alcuni ad abbandonare il sogno rivoluzionario del paese.
Molti allora hanno negato il loro sostegno alla nazione per punire le nuove classi dirigenti.
È in quel momento che molti hanno cercato di interferire e orientare l’esperienza tunisina verso il risanamento economico del paese a patto che gli islamici avessero lasciato il paese.
Questa tesi venne sostenuta da alcuni partiti tunisini durante la campagna elettorale del 2014 a cui ha fatto sì seguito la ritirata degli islamici, ma nessun investimento nel paese.
Dobbiamo forse mantenere un certo grado di ottimismo ora che il paese si appresta ad accogliere circa 4000 partecipanti, tra cui 40 delegati ufficiali, nonostante il clima di tensione e minaccia interna che preannuncia una paralisi nazionale.
I tunisini sono convinti che investire nella democrazia sia più proficuo e conveniente che investire nella tirannia.
Per fare ciò si devono recuperare i valori del lavoro, combattere la corruzione e condividere i sacrifici.